Niente riconoscimento di paternità se il figlio si oppone

23 Maggio 2017


Cassazione Civile, sez. I, sentenza 07/03/2017 n.  7762
Nel giudizio relativo al riconoscimento del figlio, l’audizione del minore assume un particolare rilievo e deve essere considerata la prima fonte del convincimento del giudice.

Una volta valutata positivamente la capacità di discernimento della minore (nella specie un’adolescente matura, consapevole della sua condizione, in grado di interagire adeguatamente con l’interlocutore e di rispondere in maniera ponderata alle domande), il risultato dell’audizione della figlia, che si oppone fermamente al riconoscimento, deve essere apprezzato nel contesto della valutazione, in concreto, del suo interesse.

La Corte di Cassazione – sentenza 7 marzo 2017, n. 7762 – ribadisce non solo la necessità dell’ascolto del minore, nel giudizio di riconoscimento del figlio ai sensi dell’art. 250 c.c., ma soprattutto che la volontà del minore, che si oppone al riconoscimento, sia tenuta in debita considerazione.

La vicenda processuale ha inizio con l’azione del padre naturale, volta ad ottenere l’autorizzazione, sostitutiva del consenso della madre, che lo aveva negato, al riconoscimento della figlia.

Il Tribunale di Roma, accertava la paternità biologica dell’attore, e dichiarava il riconoscimento della minore, poiché corrispondente all’interesse della stessa, non essendo valutati come ostativi i precedenti contrasti fra i genitori, tra cui un episodio di un comportamento violento dell’uomo nei confronti della madre della minore.

Anche la Corte d’appello confermava la decisione, ma la Corte di Cassazione – con sentenza del 24 dicembre 2013, n. 28645, cassava la sentenza, per la mancata audizione della figlia.

Nel giudizio di rinvio, era nominato un curatore speciale della minore e si procedeva all’ascolto della stessa. In tale sede la ragazza si opponeva al riconoscimento.

La Corte d’Appello, tuttavia, confermava la sentenza di primo grado, sostenendo che il riconoscimento da parte del padre coincidesse con l’interesse della minore, sia per i vantaggi normalmente collegati alla bigenitorialità, sia per l’arricchimento sotto il profilo affettivo derivante dal rapporto con il genitore, che nel frattempo aveva creato un nucleo familiare con due figli.

Nessun pericolo di un serio pregiudizio allo sviluppo psicofisico della minore.

L’interesse della minore al riconoscimento non poteva essere escluso sulla base delle sue dichiarazioni, che sarebbero state condizionate dalle informazioni errate sulle condotte paterne e dalla preoccupazione di turbare l’attuale situazione familiare.

La donna ha impugnato anche questo provvedimento in Cassazione, sostenendo la violazione dell’art. 250 c.c. comma 4, per non essere stata adeguatamente apprezzata la volontà contraria al riconoscimento espressa dalla minore in sede di audizione.

Il nuovo testo della norma, così come modificato dalla recente riforma sulla filiazione, prevede che il riconoscimento del figlio che non abbia compiuto i quattordici anni, non possa avvenire senza il consenso dell’altro genitore che per primo lo ha riconosciuto. Qualora il consenso dell’altro genitore sia rifiutato, è possibile ricorre al giudice competente, che fissa un termine per la notifica del ricorso all’altro genitore. Se non viene proposta opposizione entro trenta giorni dalla notifica, il giudice decide con sentenza che tiene luogo del consenso mancante. Se viene proposta opposizione, il giudice, assunta ogni opportuna informazione, dispone l’audizione del figlio minore che abbia compiuto i dodici anni, o anche di età inferiore, ove capace di discernimento.

Se il figlio invece ha già compiuto i quattordici anni, occorre direttamente il suo assenso.

L’abbassamento del limite di età, prima stabilito in sedici anni, si colloca nell’ambito dell’attribuzione di una serie di diritti riconosciuti al minore che si ritrova nella normativa internazionale, diritti che tendono a renderlo partecipe in tutte le questioni giudiziali che lo riguardano quando, per età, abbia acquisito capacità di giudizio e sia in grado di dare la propria opinione. Nella normativa nazionale, prima con la L. n. 50/2006 poi con la riforma del 2012, si è riconosciuto al figlio un vero e proprio diritto ad essere ascoltato nei procedimenti che riguardano il suo affidamento.

Il motivo è fondato secondo la Corte di Cassazione.

Occorre eseguire un bilanciamento fra l’esigenza di affermare la verità biologica, anche in considerazione delle avanzate acquisizioni scientifiche nel campo della genetica e dall’elevatissimo grado di attendibilità dei risultati delle indagini, con l’interesse alla stabilità dei rapporti familiari, nell’ambito di una sempre maggiore considerazione del diritto all’identità non necessariamente correlato alla verità biologica, ma ai legami affettivi e personali sviluppatisi all’interno di una famiglia.

La sentenza, rileva come il recente orientamento giurisprudenziale, abbia abbandonato il principio secondo cui il riconoscimento costituisce sempre un vantaggio per il figlio.

Il giudice di merito deve procedere ad una valutazione concreta e non astratta dell’interesse del minore nelle vicende che lo riguardano, in particolare agli effetti che avrà il provvedimento sul suo sviluppo psicologico, affettivo, educativo e sociale (Cass., 23 settembre 2015, n. 18817; Cass., 8 novembre 2013, n. 25213; Cass., 19 ottobre 2011, n. 21651).

La Corte di Cassazione ricorda che “il riconoscimento del figlio che ha compiuto i quattordici anni non produce effetto senza il suo assenso”, il quale a differenza del rifiuto del consenso da parte dell’altro genitore, non comporta una successiva valutazione in sede giudiziale.

La Corte d’appello aveva valutato positivamente la capacità di discernimento della minore, definita come “un’adolescente matura, consapevole della sua condizione, in grado di interagire adeguatamente con l’interlocutore e di rispondere in maniera ponderata alle domande”.

Pertanto la sua opinione avrebbe dovuto essere presa in considerazione nella valutazione, in concreto, del suo interesse.

Anche se rileva l’interesse del genitore, che trova tutela nell’art. 30 Cost., tuttavia tale diritto può essere sacrificato se si teme un rischio di compromissione dello sviluppo psicofisico del minore (Cass. 3 febbraio 2011, n. 2645).

Fonte: http://www.altalex.com/documents/news/2017/04/06/riconoscimento-di-paternita-escluso-se-il-figlio-si-oppone

 

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