L’onere di contestazione concerne solo i fatti allegati dalla controparte nei propri atti e non anche i documenti dalla stessa prodotti

27 Luglio 2016


Cass. Civ., Sez. VI, Sent. 6 aprile 2016, n. 6606
L’onere di contestazione concerne le sole allegazioni in punto di fatto della controparte e non anche i documenti da essa prodotti, rispetto ai quali vi è soltanto l’onere di eventuale disconoscimento, nei casi e modi di cui all’art. 214 c.p.c. o di proporre – ove occorra – querela di falso, restando in ogni momento la loro significatività o valenza probatoria oggetto di discussione tra le parti e suscettibile di autonoma valutazione da parte del giudice.
IL CASO – Il Tribunale di Napoli aveva accertato l’esistenza d’un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra la società Alfa ed alcuni lavoratori dalle date di stipula della prima assunzione, con condanna della società a pagare ai lavoratori l’indennità risarcitoria l. n. 183 del 2010, ex art. 32, nella misura di otto, anziché di dodici mensilità. La sentenza veniva parzialmente confermata dalla Corte di Appello di Napoli.
La società Alfa proponeva ricorso per la cassazione di tale pronuncia lamentando, tra l’altro, la violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 276 del 2003, art. 20, artt. 2697 e 2729 c.c. e artt. 167, 414, 416, 115 e 116 c.p.c., nella parte in cui la Corte territoriale aveva violato il principio di non contestazione delle risultanze documentali in riferimento alle mansioni dei lavoratori ed alla sussistenza d’un picco di produzione eziologicamente derivante dall’intensificazione dell’attività aziendale in ragione dell’incremento delle domande di finanziamento per l’autoimpiego e l’imprenditorialità giovanile.
La Cassazione ha rigettato il ricorso evidenziando, per quanto qui di interesse, che l’onere di contestazione concerne solo i fatti allegati dalla controparte nei propri atti e non anche i documenti dalla stessa prodotti.
LE QUESTIONI GIURIDICHE E LA SOLUZIONE – La questione giuridica posta all’esame dei giudici di legittimità afferisce alla possibilità o meno di estendere l’onere di contestazione, oltre che ai fatti allegati dalla controparte negli atti introduttivi del giudizio, anche ai documenti dalla medesima prodotti.
Com’è noto, la funzione del principio di non contestazione è quella di selezionare i fatti pacifici ed a separarli da quelli controversi, per i quali soltanto si pone l’esigenza dell’istruzione probatoria e ad escludere, all’atto della decisione, l’applicabilità della regola di giudizio di cui all’art. 2697 c.c., nei casi in cui il fatto costitutivo della domanda, benché non provato, sia da ritenersi implicitamente pacifico. Il che si verifica in maniera direttamente proporzionale al grado di specificità dell’allegazione del fatto e alla possibilità di sue narrazioni alternative.
Il secondo comma dell’art. 115 c.p.c. è stato modificato dalla l. n. 69 del 2009, nel senso che non è necessario che siano provati i fatti non specificamente contestati dalle parti costituite. Ne consegue che una contestazione generica – rispetto a fatti oggetto di specifica e puntuale allegazione ad opera dell’altra parte e rientranti nella sfera di conoscibilità di chi è onerato della contestazione – è priva di qualsivoglia effetto.
Tuttavia, ad avviso della giurisprudenza di legittimità, anche nei giudizi promossi prima dell’introduzione formale del principio di non contestazione mediante la predetta modifica dell’art. 115 c.p.c., è imposto al convenuto di prendere posizione, in modo chiaro ed analitico, sui fatti posti dall’attore a fondamento della propria domanda, in virtù dell’art. 167 c.p.c., sicché quei fatti debbono darsi per ammessi, senza necessità di prova, quando il convenuto nella comparsa di costituzione e risposta si sia limitato a negare genericamente la «sussistenza dei presupposti di legge» per l’accoglimento della domanda dell’attore, senza alcuna contestazione chiara e specifica della stessa.
Il principio in parola opera in un ambito non solo soggettivamente ma anche oggettivamente dominato dalla disponibilità delle parti, nel senso che sono suscettibili di non contestazione soltanto i fatti storici la cui ricostruzione ex post richieda il dispendio dell’attività probatoria, la quale a sua volta è normalmente rimessa alle parti. Ciò non significa affatto, però, che ad essere disponibile sia la verità storica e che, dunque, sia sottratto al giudice ogni potere di verificarla.
I giudici di legittimità hanno all’uopo evidenziato che ciò di cui una parte dispone attraverso la non contestazione è solo la prova del fatto contrario a quello allegato dall’altra: non essendovi equivalenza concettuale tra fatto non contestato e fatto provato, il primo essendo un a priori rispetto al secondo, che costituisce la risultante eventuale dell’istruzione probatoria, il giudice deve in ogni caso sottoporre a controllo il fatto non contestato, e ciò indipendentemente dalla possibilità di esercitare poteri istruttori d’ufficio. Conseguentemente, l’emergere di elementi (logici ovvero di prova indiretta o documentale) di segno opposto alla non contestazione reclama il controllo terzo sulla verità storica del fatto, che non è negoziabile e che nessuna tecnica processuale può porre al riparo dalla valutazione del giudice.
La S.C. nella pronuncia in esame – ribadendo, peraltro, un orientamento già espresso in precedenti pronunce – ha evidenziato che la contestazione da parte del convenuto dei fatti già affermati o già negati dall’attore nell’atto introduttivo del giudizio non ribalta sull’attore medesimo l’onere di «contestare la altrui contestazione», dal momento che egli ha già esposto la propria posizione a riguardo. Diversamente, il processo si trasformerebbe in una sorta di gioco di specchi contrapposti che rinviano all’infinito le immagini riflesse, per cui ogni parte avrebbe sempre l’onere di contestare la contestazione della contestazione della contestazione e così all’infinito, in una sorta di agone dialettico in cui prevale l’ultimo che contesti (magari con mera formula di stile) l’avverso dedotto.
Costituisce del resto principio pacifico che l’onere di contestazione gravante sull’attore si atteggia in modo diverso, a seconda del tipo di difese sollevate dal convenuto. Se il convenuto ammette i fatti dedotti dall’attore, ma vi aggiunge ulteriori circostanze di fatto impeditive, modificative od estintive della pretesa attorea, l’attore ha l’onere di contestare tali fatti, i quali in mancanza devono ritenersi ammessi. Se, invece, il convenuto nega i fatti dedotti dall’attore, e ne fornisce una versione diversa e contrastante con quella posta a fondamento della domanda, l’attore non ha alcun onere di contestare espressamente tali circostanze, la cui contestazione è in re ipsa nel fatto stesso di coltivare la domanda. Del resto, se così non fosse, si perverrebbe – come evidenziato – all’assurdo che ciascuna delle parti avrebbe sempre e comunque l’onere di replicare a qualsiasi allegazione in fatto compiuta da controparte, ed il processo genererebbe una sequela interminata di duplicationes e replicationes.
I Giudici di legittimità hanno altresì rimarcato che l’onere di contestazione concerne solo le allegazioni in punto di fatto dell’avversario e non i documenti da lui prodotti, rispetto ai quali esiste solo l’onere di eventuale disconoscimento nei casi e nei sensi di cui all’art. 214 c.p.c. o quello di proporre – se del caso – querela di falso ex art. 221 c.p.c., mentre la loro significatività o valenza probatoria può essere oggetto di discussione fra le parti in ogni momento, così come può essere autonomamente valutata dal giudice.
OSSERVAZIONI – La S.C. con la pronuncia in esame ha, dunque, ribadito che in relazione ai documenti prodotti in giudizio dalla controparte sussiste, a seconda delle ipotesi, solo l’onere del tempestivo disconoscimento o della proposizione della querela di falso e non anche quello di contestazione della loro valenza probatoria, che può sempre formare oggetto di discussione tra le parti e di valutazione del giudice.
Com’è noto, in caso di produzione da parte dell’avversario di una scrittura privata la parte, se intende disconoscerla onde inficiarne la valenza probatoria, è tenuta a negare formalmente la propria scrittura o la propria sottoscrizione. Gli eredi o gli aventi causa possono, invece, limitarsi a dichiarare di non conoscere la scrittura o la sottoscrizione per evitare che la stessa acquisisca piena prova in ordine alla sua provenienza.
Il disconoscimento della scrittura privata, agli effetti dell’art. 215 c.p.c., deve avvenire «nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla produzione», termini non rimessi alla volontà della parte onerata dell’atto, ma operanti nel senso che il sopraggiungere del primo termine preclude di disconoscere nel termine successivo.
Quanto alle modalità del disconoscimento, lo stesso deve avvenire, secondo un orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, in modo formale e inequivoco, risultando inidonea a tal fine una contestazione generica oppure implicita, perché frammista ad altre difese o meramente sottintesa in una diversa versione dei fatti. Il disconoscimento, infatti, pur non richiedendo formule sacramentali o vincolate, deve comunque rivestire i caratteri della specificità e della determinatezza e non risolversi in espressioni di stile.
Una volta intervenuto il disconoscimento, la parte che voglia utilizzare la predetta scrittura deve addossarsi l’onere probatorio chiedendo la verificazione della scrittura o della sottoscrizione.
In caso di mancato assolvimento dell’onere di disconoscimento, si verifica il c.d. riconoscimento tacito del documento che avviene anche nel caso in cui è contumace la parte alla quale la scrittura è attribuita o contro la quale è prodotta, purché gli sia stata notificata copia del verbale di produzione in giudizio della scrittura stessa non indicata in atti notificati in precedenza.
Nell’ipotesi in cui, invece, venga prodotto in giudizio un documento pubblico od una scrittura privata espressamente o tacitamente riconosciuta, la parte cui la sottoscrizione appare riferibile deve proporre querela di falso personalmente o a mezzo di procuratore speciale a pena di nullità rilevabile d’ufficio e non sanabile.
La giurisprudenza ritiene, peraltro, esperibile il rimedio del giudizio di falso anche avverso scrittura privata non riconosciuta e non considerata come tale, sul presupposto che alla parte nei cui confronti venga prodotta una scrittura privata, deve riconoscersi, oltre la facoltà di disconoscerla (così addossando alla controparte l’onere di chiederne la verificazione), anche la possibilità alternativa di proporre querela di falso (senza riconoscere la scrittura medesima), al fine di contestare la genuinità del documento, poiché tale strumento, sebbene più gravoso, consente il conseguimento di un risultato più ampio e definitivo che consiste nella completa rimozione del documento con effetti erga omnes, e non solo nei confronti di controparte.
La querela di falso ed il disconoscimento della scrittura privata sono, difatti, strumenti processuali volti a finalità diverse e del tutto indipendenti fra loro.
La querela di falso, sia essa proposta in via principale o in via incidentale, è volta ad accertare la falsità materiale dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata o riconosciuta, ovvero la divergenza, in relazione all’atto pubblico, fra la dichiarazione e gli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua presenza o essere stati da lui compiuti e quanto effettivamente avvenuto. La relativa declaratoria di falsità provoca la completa rimozione del valore giuridico del documento, a prescindere dalla concreta individuazione dell’autore della falsificazione. Ne consegue che la querela di falso è proponibile contro chiunque possa avvalersi del documento per fondare su di esso una pretesa (sia o meno, appunto, l’autore della falsificazione), e che la relativa sentenza, eliminando ogni incertezza sulla veridicità o meno del documento, riveste efficacia erga omnes (e non soltanto nei riguardi della controparte evocata in giudizio), oltre il limite del giudicato.
Il disconoscimento della scrittura privata, investendo la paternità del documento, mira invece ad impedire che la scrittura privata possa acquistare l’efficacia probatoria assegnatale dall’art. 2702 c.c.: il disconoscimento si risolve, pertanto, in un’impugnazione formale, diretta a confutare l’autenticità del documento che si assume contraffatto. Il giudicato conseguente al procedimento di verificazione dell’autenticità della scrittura, che sia stata ritualmente disconosciuta, resta quindi opponibile alle sole parti presenti in giudizio.
RIFERIMENTI GIURISPRUDENZIALI E BIBLIOGRAFICI – Sul principio di non contestazione introdotto dalla l. n. 69 del 2009 v. Cass. civ., sez. III, 20 ottobre 2015, n. 21176, in Giust. civ. Mass., 2015.
In ordine alla operatività del principio di non contestazione prima della modifica dell’art. 115 v. Cass. civ., sez. III, 6 ottobre 2015, n. 19896, in Giust. civ. Mass., 2015.
Sulla non estensione dell’onere di contestazione anche ai documenti prodotti dalla controparte v. Cass. civ., sez. III, 22 maggio 2014, n. 11349, in Resp. civ. e prev., 2014, 4, 1360.
In ordine ai tempi ed alle modalità del disconoscimento v. Cass. civ., sez. II, 28 novembre 2013, n. 26641, in Giust. civ. Mass., 2013; Cass. civ., sez. III, 19 luglio 2012, n. 12448, in Giust. civ., 2012, 10, I, 2297; Cass. civ., sez. III, 21 novembre 2011, n. 24456, in Giust. civ. Mass., 2011, 11, 1649.
Circa la fruibilità del rimedio della querela di falso anche avverso scrittura privata non riconosciuta v. Cass. civ., sez. I, 28 febbraio 2007, n. 4728, in Giust. civ., 2008, 1, I, 203; Cass. civ., sez. II, 29 gennaio 2007, n. 1789, in Giust. civ. Mass. 2007, 1.
Con riferimento agli effetti del riconoscimento tacito della scrittura privata o della verificazione v. Cass. civ., sez. III, 30 giugno 2015, n. 13321, in Giust. civ. Mass., 2015.
Sull’efficacia erga omnes della sentenza che decide il giudizio di falso v. Cass. civ., sez. I, 20 giugno 2000, n. 8362, in Giust. civ. Mass., 2000, 1341.
Sul principio di non contestazione v. C. CEA, La modifica dell’art. 115 c.p.c. e le nuove frontiere del principio di non contestazione, in Foro it., 2009, V, 268; C. GAMBA, Le preclusioni della fase di trattazione ed il principio di non contestazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2012, 1311; A. TEDOLDI, La non contestazione nel nuovo art. 115 c.p.c., in Riv. dir. proc., 2011, 85.
Sul disconoscimento v. C. PANDOLFI, Brevi note in tema di disconoscimento e verificazione di scrittura privata, in Giur. mer., 2008, fasc. 6, 1789 ss.
In tema di giudizio di falso v. M. DOMINICI, La querela di falso, in A. RONCO (a cura di), Il documento nel processo civile, Bologna, 2011, 300; M. VANZETTI, Querela di falso e sospensione del processo, in Riv. dir. proc., 2012, 1502.

Fonte: http://giustiziacivile.com/arbitrato-e-processo-civile/note/lonere-di-contestazione-concerne-solo-i-fatti-allegati-dalla

Foto: https://matteodelongis.files.wordpress.com/2015/10/allegazione.jpg?w=1134

'onere di contestazione art. 115 c.p.c. art. 214 c.p.c. Cass. Civ. l. n. 69 del 2009 n. 6606 Ordine Avvocati Sciacca Sent. 6 aprile 2016 Sez. VI

1 commento

  1. STEFANO ANDRADE FAJARDO ha detto:

    Ottima disamina! E’ quella che mi serviva per una causa, grazie.

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