Il contratto di comodato cessa quando le necessità temporanee per le quali esso era stato concluso, vengono meno. E’ quanto disposto dalla Cassazione, sez. III Civile, nella sentenza 25 novembre 2015 – 9 febbraio 2016, n. 2506.

Nella vicenda in esame, la proprietaria di un appartamento concesso in comodato al fratello ed alla cognata, aveva convenuto in giudizio quest’ultima per ottenere il rilascio dell’immobile, a lei assegnato in seguito alla separazione coniugale.

Il Tribunale adito aveva accolto tale domanda, ma successivamente la Corte d’Appello si era pronunciata in senso contrario, rigettando la richiesta in quanto aveva ritenuto che la comodante non aveva dimostrato il sopraggiungere di bisogni personali che le consentissero di ottenere la restituzione immediata del bene. Avverso tale sentenza, la soccombente ha proposto ricorso in cassazione sulla scorta di quattro motivi.

La Suprema Corte ha ritenuto fondato, in particolare, il secondo motivo, con cui la ricorrente ha censurato la sentenza impugnata in quanto affetta da un vizio di violazione di legge, deducendo, altresì, la violazione dell’art. 1810 c.c., in quanto la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto che l’immobile fosse stato concesso in comodato per soddisfare le esigenze di vita familiare e non per necessità solo temporanee, come era stato diversamente dimostrato dalla comodante, in virtù delle prove raccolte e trascritte nella stessa sentenza d’appello.

In effetti, non essendo stato previsto alcun termine né esplicito né tacito, il contratto di comodato in oggetto può essere inquadrato nella fattispecie del c.d. comodato precario, caratterizzato dalla facoltà del comodante di recedere ad nutum ex art. 1810 c.c. Su tale punto, recentemente la Cassazione, a Sezioni Unite (sentenza n. 20448 del 29/09/2014) si è pronunciata stabilendo che nel caso di contratto di comodato avente ad oggetto un bene destinato a casa familiare, il  coniuge assegnatario dell’immobile può opporre al comodante, che chieda il rilascio dell’immobile, l’esistenza di un provvedimento di assegnazione dell’immobile. In tale ipotesi il rapporto, disciplinato dagli artt. 1803 e 1809 cod. civ., è ad uso determinato, ed  in assenza di una espressa indicazione della scadenza, ha una durata determinabile per relationem, con applicazione delle norme che regolano la destinazione della casa familiare.

A tal riguardo, è possibile distinguere due tipi di contratto di comodato: il comodato volto a soddisfare stabili esigenze abitative familiari, destinato a protrarsi finché le stesse perdurano, (art. 1809 c.c.), e quello senza un termine prefissato ovvero non destinato a soddisfare stabili esigenze abitative della famiglia (art. 1810 c.c.), risolvibile ad nutum del comodante.

Nel caso in esame, la Corte d’appello ha accertato che l’immobile oggetto del contratto di comodato  era stato concesso solo “per il tempo necessario a trovare un altro alloggio” , ovvero per appagare un bisogno temporaneo e non per soddisfare stabilmente le esigenze di vita familiare del comodatario.

Pertanto, la Cassazione ha ritenuto che la Corte d’appello abbia applicato erroneamente l’art. 1809 c.c. ad una fattispecie cui doveva invece applicarsi l’art. 1810 c.c., e per tali  ragioni, ha annullato con rinvio il provvedimento impugnato.

Fonte: http://www.altalex.com/documents/news/2016/02/16/comodato